giovedì 11 dicembre 2008

Nezaket Ekici VS Andrea Abbatangelo


Nezaket Ekici e Andrea Abbatangelo

Nella cornice del festival Love is conTemporary 2007, Nezaket Ekici e Andrea Abbatangelo hanno trasformato il polo culturale Ex Siri in un luogo di confronto di diverse strategie artistiche che, pur seguendo due direttrici opposte, centripeta l’una e centrifuga l’altra, appartengono ad una comune ricerca di relazione che è tratto distintivo della creazione contemporanea: la necessaria interazione con il territorio e la sua identità, sia l’esito del processo una scelta di fuga o un tentativo di radicamento.

L’arte come campo elettrico, come tensione di forze opposte che alimentano il circuito, dinamica che sfocia nella ricera di un dialogo, che può svolgersi sotto il segno della negazione o dell’affermazione.
L’ansia comunicativa è l’urgenza da cui prendono forma, modulate da sensibilità opposte, le diverse soluzioni.
Un’installazione, cosa fisica, il lavoro di Andrea Abbatangelo è una presenza concentrata e densa, che fende lateralmente lo spazio, come lo tagliasse, come i globuli che si coagulano dopo le ferite.
E il tempo è davvero la durata della coagulazione, accelerata dalla continua sfida della gravità, dall’attrazione per il suolo, che è forse anche un’attrazione per un luogo di partenza, tensione che si rende durevole attraverso la ripetizione continua dello scatto.
Il tempo è il momento dell’appena prima, quello del disequilibrio, quello concentrato nella macchina che poi si espande, del punto dissonante... una domanda che assomiglia ad un rintocco, una cosa che sembra la tappa di un viaggio, come si sta a mezzobusto fuori del cornicione per l’impazienza, una fuga che nega le radici universalizzandole in una geografia imprecisa.
Una smania di essere tramite il fare, una volontà di fuoriuscita, un allungare le mani che è propria dell’operatività maschile.

Pazienza e domesticità sono il contro altare, nel lavoro di Nezaket Ekici.
L’opera è una situazione, un’esperienza di ascolto e apprendimento,e una funzione di moto relativo come lo sguardo che scorre sul treno, come quando si guarda un bambino giocare, una lezione lenta e silenziosa sul valore del linguaggio inteso come seme, non solo come veicolo, che racconta in maniera non formalizzata le sfumature del nostro territorio e i codici di etnie altre.
Il tempo è, allora, la durata necessaria alla comprensione, un tempo gerundio, il tempo antieconomico, quello che serve per arrivare a scandagliare la trama delle parole, le fibre di ogni tenda. E lo spazio è la visualizzazione di questa durata, con materiali impalpabili ed ergonomici che invitano al gusto soffice dello stare, uno spazio cavo che ripropone la dinamica dell’abbraccio, dell’accogliere e dell’affermare.
Accattivare, tensione ad invitare, è la linea forza del lavoro che attrae il fruitore dopo aver catalizzato e trasformato un territorio sul quale si è agito con ascolto curioso riservato alle cose diverse. Ua frattura che consente lo scarto di comprensione, sia per chi da sempre vi appartiene, ma attraverso la rielaborazione di uno sguardo esterno assume una distanza che arricchisce la fruizione quotidiana di un valore aggiunto: la coscienza che deriva dal confronto.

Arte come campo, come flusso di stimoli, come scambio di liquami.
Lo scheletro è sempre un’altalena tra dentro e fuori, tra la cosa e chi vi si avvicina, tra l’andare e lo stare.
E il mondo che si profila non può più essere allora compatto e statico, ma è insieme di pulviscoli elettricamente carichi, che devono bilanciarsi per dare valore.
Un insieme che deve coinvolgere, in questo fluttuare, la totalità dei propri rami, dall’economico al politico, dall’artistico al sociale.
Per canalizzare il magma creativo e trasformare le tensioni in azioni.
Chiara Organtini
( il testo di Chiara Organtini è tratto da Terni 2019, n 0, Febbraio 2008, pag. 14 – 15, pubblicazione a cura del forum che vuole candidare Terni a capitale europea della cultura nel 2019).

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